Intolleranze alimentari

Intolleranze alimentari

Le intolleranze alimentari, che colpiscono circa il 2-3% degli italiani, appartengono all’insieme dei disturbi denominati “reazioni avverse al cibo”: l’intolleranza alimentare, ad esempio, a differenza dell’allergia, è una reazione avversa che non coinvolge il sistema immunitario. Le intolleranze, lo ricordiamo, sono più frequenti e meno pericolose delle allergie, che, nei casi più gravi, possono anche portare alla morte. Scopriamo insieme tutto quello che c’è da sapere su questo disturbo.  

Che cosa si intende per intolleranza alimentare

Mentre l’allergia alimentare è la più comune patologia di tipo immunitario che si manifesta in seguito all’assunzione di un certo cibo, l’intolleranza alimentare è l’incapacità dell’organismo a digerire uno o più alimenti, denominati sostanze attive; questa circostanza può essere causata:

  • da una carenza di enzimi a livello metabolico (le cosiddette intolleranze enzimatiche): si pensi, ad esempio, all’intolleranza al lattosio, ovvero lo zucchero del latte e dei suoi derivati. Quest’ultima, in effetti, è determinata da una carenza  o da una assenza di lattasi, l’enzima digestivo che presiede alla scomposizione dello zucchero del latte; altre intolleranze enzimatiche sono il favismo e l’intolleranza al glutine;
  • dalla presenza nei cibi di particolari additivi alimentari (si parla – in tal caso – di intolleranze chimiche): queste particolari sostanze provocano cefalea, difficoltà di concentrazione e ristagno dei liquidi.

Le intolleranze alimentari possono essere considerate delle vere e proprie infiammazioni determinate dal cibo, in quanto, quando viene ingerito un certo alimento, il corpo lo riconosce come una minaccia da cui difendersi attraverso la tipica sintomatologia delle intolleranze alimentari.

Le reazioni avverse al cibo di questo tipo provocano danni in primo luogo alla flora batterica intestinale (ovvero l’insieme dei microrganismi essenziali che contribuiscono alla risposta immunitaria dell’organismo), ma provocano anche disturbi al fegato, la cui principale funzione consiste nell’eliminazione delle sostanze nocive dal sangue.

Va detto inoltre che l’intolleranza alimentare è dose-dipendente: ciò significa che essa è legata alla quantità del cibo non tollerato che viene assunto dal soggetto, cosa che non accade con le allergie. Ne consegue che per l’intolleranza esiste una certa soglia limite, al di sotto della quale la sostanza che causa il disturbo non dà luogo ad alcuna sintomatologia.

Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato che taluni soggetti sono geneticamente predisposti alle intolleranze, ma anche particolari patologie, un elevato livello di stress, un cattivo stile di vita e un’alimentazione poco equilibrata possono contribuire alla comparsa delle intolleranze in oggetto.

I sintomi

I sintomi determinati dalle intolleranze sono vari e possono presentarsi con diversa intensità; il loro livello di severità, solitamente, è legato alla quantità della sostanza non tollerata ingerita e dalla eventuale concomitanza di altri fattori. Ad ogni modo la sintomatologia più frequente è la seguente:

  • spasmi a livello addominale
  • gonfiore addominale
  • emissione di gas intestinali
  • dissenteria
  • arrossamento della cute
  • prurito

Questi sintomi, in genere, si manifestano qualche ora dopo aver mangiato il cibo a cui si è intolleranti, diversamente da quanto accade per le allergie, i cui effetti sull’organismo – invece – sono assai più celeri e non dipendono dalla dose di alimento che è stata assunta.

La comparsa dei sintomi sopra citati, tuttavia, non basta a effettuare una diagnosi di intolleranza.

Come si diagnosticano le intolleranze alimentari

Al fine di individuare con esattezza l’eventuale presenza di una intolleranza alimentare, il medico dovrà:

  • valutare la storia clinica del soggetto e dei suoi più stretti familiari;
  • analizzare la sintomatologia riferita dal paziente;
  • effettuare una visita obiettiva orientata a verificare lo stato di salute dell’intestino.

Successivamente sarà possibile effettuare un affidabile test diagnostico (non tutti, infatti, godono di credibilità in ambito medico).

Per la celiachia (intolleranza al glutine), ad esempio, sono previsti esami di primo livello che si basano sulla rilevazione di particolari anticorpi presenti nel sangue; questi test, lo ricordiamo, sono particolarmente utili per la valutazione della predisposizione genetica di pazienti che hanno parenti di primo grado affetti da celiachia.

Il test che serve a individuare l’intolleranza al lattosio si chiama invece Breath test, ovvero l’esame clinico del respiro. Dopo aver assunto una certa dose di lattosio, l’operatore provvede ad analizzare i gas emessi dal paziente attraverso il respiro: qualora si rilevi la presenza significativa di idrogeno, significa che il lattosio fermenta nell’intestino, poiché il microbiota intestinale non riesce ad assorbirlo.

Questo esame è anche in grado di rilevare l’incapacità dell’organismo di assimilare altre sostanze, come, ad esempio, lo xilosio e il sorbitolo.

La dieta a eliminazione

Un altro efficace metodo per capire se si è affetti da intolleranze alimentari è la cosiddetta dieta a eliminazione. Si tratta, in effetti, di un particolare regime alimentare che si basa sull’esclusione, per 14 giorni circa, di uno o più cibi “sospetti”. Se la sintomatologia scompare o comunque si riduce in maniera significativa, sarà possibile restringere il cerchio dei cibi che potrebbero essere la causa del disturbo. Alla sospensione di questi alimenti fa solitamente seguito una loro lenta e progressiva reintroduzione. Nel giro di un mese circa è poi possibile individuare con una buona precisione le sostanze che provocano il malessere.

 

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